E pur essendo questa la situazione, tuttavia Cicerone afferma di aver preso parte al concilio degli dèi immortali e di essere stato da lì mandato come protettore dell’Urbe e dei cittadini, e non invece come un carnefice, che sfrutta il disagio della città per ottenere gloria. Come se in realtà la causa di quella congiura non fosse stato il tuo consolato e per quel motivo la cosa pubblica non fosse stata dilaniata nel tempo in cui ti aveva come protettore. Ma, credo, ti fanno più onore quelle premure che dopo il consolato hai riservato allo Stato in compagnia di tua moglie Terenzia, quando eseguivate a casa vostra i processi regolati dalla legge Plauzia; condannavi alcuni dei congiurati a multe in denaro, e così uno ti costruiva la villa a Tuscolo, un altro quella a Pompei, un altro ti comprava la casa; chi invece non poteva nulla, ecco chi era più suscettibile di calunnia, ecco chi era venuto ad assediare casa tua o aveva teso un’insidia al senato, o insomma era uno di cui sapevi per certo.

Ma se ti rivolgo accuse infondate, rendici ragione: quanto era grande il patrimonio che hai ricevuto, quanto ti si è accresciuto con i processi, attraverso quale somma hai ottenuto la casa e hai costruito, con una spesa enorme, il possedimento di Tuscolo e quello di Pompei. Se taci, chi può avere dubbi? Hai ottenuto questa ricchezza dal sangue e dalle miserie dei cittadini.

Credo però che un homo novus di Arpino appartenente alla famiglia di Marco Crasso voglia imitare la sua virtù, e quindi disprezzi la rivalità con gli uomini nobili, abbia cara la cosa pubblica, non lo distolgano dalla verità né la paura né il favore, abbia a cuore soltanto l’amicizia e la virtù.

Ma invece stiamo parlando dell’uomo più incostante, che supplica i nemici e insulta gli amici, appartenente un po’ all’uno, un po’ all’altro partito, fedele a nessuno, senatore inconsistente, patrono mercenario, del cui corpo nessuna parte è priva di nefandezza: la lingua è futile, le mani rapacissime, la gola una voragine, i piedi fuggiaschi; e le parti che pudicamente non possono nominarsi, il massimo della impudicizia. E uno del genere osa pure dire: «O Roma fortunata, nata sotto il mio consolato!»