«Tutti coloro che si assumono responsabilità di cose grandi devono valutare se l’azione che si intraprende sia utile allo Stato, onorevole per se stessi, sicura nell’effetto o senz’altro non difficile; allo stesso tempo, deve essere esaminato chi consiglia: se al consiglio accompagni il proprio rischio e, se la buona sorte assisterà l’impresa, chi acquisti il massimo decoro. Io ti esorto al comando, Vespasiano: quanto vantaggioso per lo Stato, quanto grandioso per te, subito dopo gli dèi è stato riposto in mano tua. E non temere la falsità dell’adulatore: essere scelti dopo Vitellio sarà più motivo di biasimo che di lode. Non stiamo agendo contro l’acuta lungimiranza del divino Augusto né contro la prudentissima vecchiaia di Tiberio, e nemmeno contro la casa, fondata su un potere duraturo, di Gaio, di Claudio o di Nerone; ti sei trattenuto anche di fronte alle immagini di Galba. Ma indugiare oltre e abbandonare lo Stato alla rovina e alla distruzione risulterebbe sonnolenta pigrizia, anche se ti si prospettasse una schiavitù tanto ignobile quanto priva di pericoli. Se n’è andato ormai, è trascorso il tempo in cui potevi dare l’impressione di non desiderare: è necessario trovare rifugio nel potere. O forse ti è passato di mente l’assassinio di Corbulone? Aveva origini più illustri delle nostre, lo ammetto, ma quanto a nobiltà dei natali anche Nerone superava Vitellio. Chiunque susciti timore è abbastanza illustre di fronte a chi teme. E quanto alla possibilità di essere fatto principe dall’esercito, lo stesso Vitellio ne è prova per sé, senza servizio militare, senza gloria acquisita in guerra, fatto avanzare soltanto dall’odio verso Galba. E nemmeno Otone ha sconfitto grazie alle proprie abilità di comandante o alla forza dell’esercito, ma per la rassegnazione che ha colto lui troppo presto; e lo ha già reso un principe grande e da rimpiangersi, mentre nel frattempo disperde le legioni, disarma le coorti, offre ogni giorno nuovi incentivi per la guerra. Se pure i suoi soldati hanno mai avuto un briciolo di ardore e di ferocia, sono ora fiaccati dalle taverne, dalle gozzoviglie, dall’esempio che dà loro il principe; tu disponi di nove legioni integre dalla Giudea, dalla Siria e dall’Egitto, che non sono affaticate da alcuna battaglia né consumate dalla discordia: sono soldati saldi nella pratica, che hanno sedato una guerra esterna; e poi i rinforzi dati da flotte, ali e coorti, fidatissimi re e la tua esperienza superiore a quella di tutti. Per quanto mi riguarda, non avrò nessuna richiesta se non quella di non essere annoverato dietro Valente e Cecina: ma non disprezzare Muciano come alleato soltanto perché non ce l’hai come rivale. Io antepongo me a Vitellio, te a me. La tua casa possiede il nome trionfale, due giovani, di cui uno già pronto al comando e, nei suoi primi anni da soldato, noto anche presso gli eserciti germanici. Sarebbe assurdo non farsi indietro nel comando di fronte a uno il cui figlio penserei di adottare, se fossi io a comandare.»