Se contro di voi, la patria e i Penati avessi affrontato tante fatiche e pericoli quante volte dalla mia prima adolescenza sotto il mio comando furono sconfitti i nemici più terribili e fu ottenuta la vostra salvezza, contro di me, in mia assenza, non avreste deliberato nulla di più, senatori, di quanto state ad ora facendo – me che, buttato, nonostante l’età, in una guerra feroce con un esercito benemerito, per quanto sta a voi, avete sfinito con la fame, la peggiore di tutte le morti. È forse con questa prospettiva che il popolo romano ha mandato in guerra i suoi figli? È questa la ricompensa per le ferite e per il sange tante volte versate per lo Stato? Stanco di scrivere e di mandare messi, ho consumato tutte le mie sostanze e speranze personali, mentre voi in tre anni mi avete fornito mezzi a stento sufficienti per uno solo. Per gli dèi immortali, credete forse che io possa fare le veci dell’erario, o che possa tenere un esercito senza pane e paga?

Da parte mia, confesso di essere partito per questa guerra con più entusiasmo che avvedutezza, poiché, ricevuto da voi soltanto il titolo di comandante, in quaranta giorni ho armato un esercito e dalle Alpi ho ricacciato in Spagna i nemici, che già stavano sul collo dell’Italia; attraverso di esse ho aperto una via diversa da quella di Annibale, a noi più agevole. Ho riconquistato la Gallia, i Pirenei, la Lacetania, gli Indigeti; ho sostenuto il primo assalto del vittorioso Sertorio con nuove leve e in netta inferiorità numerica; ho trascorso l’inverno nell’accampamento tra nemici ferocissimi, non in città né per ostentazione. A che scopo elencare le battaglie o le spedizioni invernali, le fortezze distrutte o riconquistate? Perché i fatti contano più delle parole: la presa del campo nemico presso il Sucrone, la battaglia presso il fiume Turia, il comandante dei nemici Gaio Erennio con la città di Valenza e l’esercito distrutti – queste cose le avete ben presenti. In cambio di questo, senatori riconoscenti, mi rendete miseria e fame. Pertanto la condizione del mio esercito e di quello nemico è uguale: a nessuno dei due viene data la paga, entrambi possono giungere vincitori in Italia. Vi esorto e vi prego che rivolgiate il vostro pensiero a questo, e che non mi costringiate a badare alle necessità a titolo personale. La Spagna citeriore, che non è occupata dal nemico, l’abbiamo completamente devastata noi o Sertorio, ad eccezione delle città costiere, che per di più sono per noi un costo e un peso. L’anno precedente è stata la Gallia a sostentare l’esercito di Metello con la paga e con i viveri, ma ora, con un cattivo raccolto, sopravvive a stento; io ho consumato non solo il mio patrimonio familiare, ma anche la speranza. Mi restate voi: ma se non mi venite in aiuto, vi preannuncio che, contro la mia volontà, l’esercito e con esso tutta la guerra di Spagna passeranno di qui in Italia.