In uno dei passi più celebri del Fedone, Platone fa dire a Socrate (99 C 6 – D 2): “Io sarei divenuto molto volentieri allievo di chiunque per sapere come stessero le cose rispetto a tale causa; ma poiché ne ero privato e non ero capace né di scoprirla da solo né di apprenderla da altri, vuoi che ti mostri, o Cebete, come ho intrapreso la seconda navigazione alla ricerca della causa?”. Per descrivere la via di ricerca che alla fine approderà all’ipotesi delle Forme, Socrate usa in questo passo l’espressione “seconda navigazione” (deuteros plous); infatti, nel mondo greco essa faceva riferimento a:

Nel Parmenide di Platone, il personaggio omonimo solleva una difficoltà rispetto all’ipotesi delle Forme illustrata con l’esempio di un velo. In che cosa consiste?

All’interno del Menone, Socrate interroga lo schiavo del personaggio omonimo, chiedendogli quanto misura il lato del quadrato di area doppia rispetto a quello che lui ha disegnato, che ha lato 2 piedi. Dopo alcuni errori e grazie alla guida di Socrate, alla fine lo schiavo risponde con il numero esatto.

Per quanto sia difficile cogliere con sicurezza i dettagli della dottrina delle Forme, almeno da alcuni dialoghi è possibile evincere che per Platone ogni Forma fosse in relazione

Nelle Leggi, Platone condanna duramente l’ateismo, perché ritiene che esso mini le fondamenta stesse del legiferare comune. Tuttavia, egli non aderisce alla religione tradizionale, ma a una divinizzazione degli astri definita dagli studiosi “teologia astrale”.