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Platone 9

Nel Parmenide di Platone, l’omonimo personaggio solleva alcune obiezioni contro l’ipotesi delle Forme, la più grande delle quali (megiston, 133...

Nel Parmenide di Platone, l’omonimo personaggio solleva alcune obiezioni contro l’ipotesi delle Forme, la più grande delle quali (megiston, 133 B 4) è quella epistemologica. All’interno di essa Parmenide parla di una conseguenza ancora più terribile:

PARM.: “Se davvero esiste un genere in sé della conoscenza, dovresti dire che esso è molto più esatto della conoscenza presso di noi, e così anche il bello e le altre cose”. SOCR.: “Sì”. PARM.: “Dunque, se poi qualcos’altro partecipa della conoscenza in sé, diresti che nessuno più che un dio possiede la conoscenza più esatta?”. SOCR.: “Necessariamente”. PARM.: “E forse il dio sarà in grado di conoscere le cose presso di noi, dal momento che possiede la conoscenza in sé?”. SOCR.: “Perché no?”. PARM. “Perché […] si è convenuto tra noi, o Socrate, che né quelle Forme hanno il potere che hanno rispetto alle cose presso di noi, né le cose presso di noi rispetto a quelle, ma ognuna di esse rispetto a sé stesse”. SOCR. “Sì, si è convenuto”. PARM.: “Dunque, se quella padronanza più esatta e quella conoscenza più esatta sono presso il dio, né la loro padronanza potrebbe mai aver potere su di noi, né la loro conoscenza potrebbe conoscere alcuna delle cose presso di noi, ma ugualmente sia noi non comandiamo su di loro con il comando presso di noi né conosciamo alcunché di divino con la nostra conoscenza, sia a loro volta loro, per la stessa ragione, non sono i nostri padroni né conoscono le faccende umane, pur essendo dèi”. SOCR.: “Ma bada che non <sia> troppo sconvolgente il discorso, se priverà il dio del conoscere”. (Parm. 134 C 6-E 8)

Platone 9